MUSICA

Anime Salve

Fabrizio De Andrè e Ivano Fossati

recensione

"Scrivere comporta tempo, anche per le chiacchiere di un concerto. Ma è meglio non scrivere una frase intera piuttosto che togliere una sola parola che dia il senso ad una frase."

(Fabrizio De Andrè)


"Mentre si scrive si usa una poetica ma non si ha coscienza di compiere uno sforzo nel ricercare le parole. E' lavorando con qualcun altro, come mi è capitato con Fabrizio De Andrè, che ti rendi conto di quello che fai, perchè ci si guarda reciprocamente, si confrontano le idee"

(Ivano Fossati)

Anime Salve è l'ultima opera in ordine di tempo di Fabrizio De Andrè che morirà l'11 gennaio 1999 lasciando incompiuto l'album che stava preparando assieme ad Oliviero Malaspina. Ma Anime Salve è anche la prova tangibile di come due grandi poeti della musica italiana possano unire le loro anime e, con grande umiltà, dar vita ad un'opera unica. L'altro poeta è Ivano Fossati.

L'album esce nel 1996 sicuramente dopo un lungo lavoro: Fabrizio era noto per puntigliosità con la quale scavava in sé stesso per trovare quella e solo quella parola, puntigliosità che non risparmiava sicuramente a coloro che con lui lavoravano; Ivano, d'altra parte, è un dedalo di emozioni che si riflettono sia nei testi che nella musica, uomo dalla mente acuta e profonda. Entrambi "spiriti liberi"; entrambi perennemente "in direzione ostinata e contraria" (rubando direttamente da "Smisurata preghiera"); entrambi affetti da quella particolare "solitudine" di chi riesce a vedere oltre l'orizzonte sul quale si ferma lo sguardo dei più; entrambi del tutto sprovvisti di quei piedistalli sui quali si arrampicano troppo frequentemente i così detti "grandi".

L'impasto è affascinante già dal punto di vista dei termini usati e dal modo di affrontare temi inconsueti. Fossati che salta fuori dal concetto del tempo che passa, dallo sguardo rivolto verso il futuro senza mai perdere contatto con le radici, dalle emozioni che quasi subliminalmente passano oltre o dietro le parole, dall'idea poetica eppure tanto umana dell'amore. Faber, con quella sua capacità di marchiarci a fuoco l'anima, di mostrare senza mezzi termini, col suo "presente" che si ripropone oltre il tempo, con l'amore graffia i seni (per parafrasare "Verranno a chiederti del nostro amore").

La scrittura a quattro mani dei due autori, però, non è agli inizi. Di 4 anni prima è "Le Nuvole" (anche con Mauro Pagani e Massimo Bubola) e, ancora precedente, del 1988, l'interpretazione a 3 voci (la terza è quella di Francesco De Gregori) di "Questi posti davanti al mare" nell'album "La pianta del tè" di Ivano Fossati per non parlare di "Volume 8" del 1973 che Faber aveva scritto in gran parte con Francesco De Gregori.

Insomma, le premesse per lasciare una grande testimonianza dei nostri tempi (e per aprire gli occhi di coloro che vorranno....) c'erano tutte ed il concept che ne esce le conferma in pieno. Concept, dicevamo, a pieno titolo che sottolinea duramente il "maledetto muro" (rubando il termine alla fossatiana "Musica che gira intorno") che ancora divide "noi", i "normali", la "maggioranza", da "loro", i "diversi", l'eterna "minoranza". E' un violento schiaffo (come sempre con Faber!) quello che ci arriva, uno specchio che, all'improvviso, ci viene sbattuto davanti e sfuggire all'immagine poco piacevole che ci rimanda DEVE essere impossibile.


Princesa

perché Fernanda è proprio una figlia,
come una figlia vuol far l'amore,

...ma quel corpo le resiste, come un nemico che le vive dentro e le nega il suo diritto stesso ad esistere

ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore...

E allora la decisione, l'intervento chirurgico che riparerà al clamoroso errore della natura e metterà per sempre a tacere quell'ultimo indizio maschile che è in lei ...

e allora il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia,
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia...

E finalmente Fernandiño muta forma, si spegne sotto i ferri e dalle sue spoglie nasce Fernanda...

Si sa che la vita di un transessuale è segnata, fa parte di quelle anime rifiutate dalla società benpensante, bersaglio di dileggio di giorno, ma cercate con desiderio di notte

dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s'appende,
nella mia carne, tra le mie labbra,
un uomo scivola, l'altro si arrende...

E la sua rivincita sulla sfortuna, la sua ricompensa a tanto penare, per lei, oramai diventata per tutti Prinçesa, è quella di aver fatto girare la testa ad un notabile proprio di quella società che l'ha esclusa...

A un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone...

Il brano termina con un ritorno alle origini, come a chiudere un cerchio ideale con la sua infanzia contadina, in un coro che in portoghese ci narra di nuovo in una sequenza di diapositive l'esistenza di Fernandiño, Fernanda, Prinçesa e del suo raggiungere, finalmente, la dignità...

o matu, o cèu, a senda, a escola,
a igreja, a desonra, a saia, o esmalte,
o espello, o baton, o medo, a rua,
a bombadeira, a vertigem, o incanto, a magia,
os carros, a policia, a canseira, o brio,
o noivo, o capanna, o fidalo, o porcalhao,
o azar, a bebedeira, as pancadas, os carinhos,
a falta, o nojo, a formusura, VIVER !

la campagna, il cielo, il sentiero, la scuola,
la chiesa, la vergogna, la gonna, lo smalto,
lo specchio, il rossetto, la paura, la strada,
la modellatrice, la vertigine, l'incanto, la magia,
le macchine, la polizia, la stanchezza, la dignità,
il fidanzato, lo sgherro, il signore, lo sporcaccione,
la sfortuna, la sbronza, le botte, le carezze,
il fallimento, lo schifo, la bellezza, VIVERE!

La storia di Prinçesa è liberamente tratta dall'omonimo romanzo-intervista uscito nel 1993 per le edizioni "Sensibili alle foglie". E' la storia vera di Fernando Farias De Albuquerque, raccontata in carcere a Rebibbia, dove scontava una condanna per tentato omicidio, al suo compagno di cella, un pastore sardo ergastolano. Questo racconto è stato poi raccolto e messo in prosa dal brigatista Maurizio Jannelli, anch'egli in carcere a Rebibbia. Dal romanzo-intervista è stato infine tratto un film diretto da Henrique Goldman nel 2001.


Khorakhané

Il "popolo del vento"

Per poter comprendere appieno il senso e la bellezza di un brano come Khorakhané occorre una mente sgombra da pregiudizi e slegata da luoghi comuni più o meno legittimi; occorre, in altre parole, sapere qualcosa di più di un popolo che ha fatto della diversità un vero e proprio scopo di vita.

Il popolo zingaro, originario dell'India, è diviso in tre gruppi, i Rom, i Sinti e i Kalé e molti sottogruppi. Nel corso dei secoli, si è espanso in tutta Europa senza mai rinunciare al nomadismo, fondamento della sua anima e della sua cultura: indispensabili questo popolo sono la libertà ed il movimento per le quali sacrificano ricchezza, potere, gloria. Hanno una lingua comune, il romanès, solo orale, che si arricchisce di termini e vocaboli dei vari popoli che incontrano lungo il loro eterno cammino. Si comprende che un popolo senza scrittura deve affidare solo alla tradizione orale il compito di trasmettere la propria storia e la propria cultura. La storia dei Rom, quella che conosciamo, è stata scritta dai Caggé (i "non zingari") e quindi è di parte e scarsamente attendibile.

Questi fondamenti, assieme alla struttura della società, sono rimasti solidi da più di un millennio ed ancora oggi le feste tradizionali fanno da catalizzatori per un vasto numero di gruppi sparsi in tutta Europa. La più importante è la festa in onore di Santa Sara (protettrice di questo popolo) che si tiene il 24 maggio di ogni anno a Les Saintes Maries de la Mer nella Camargue. La festa dura due giorni nei quali si alternano momenti di profonda fede religiosa a canti e balli.

Cardine della società Rom è la famiglia patriarcale, dove il vecchio è considerato saggio e ne è il rappresentante indiscusso. Alla famiglia appartengono tutti coloro che hanno un antenato in comune. In questo senso di appartenenza e nelle tradizioni poggia l'equilibrio psicologico di tutti i membri della società Rom, società nella quale non esistono classi sociali né "governanti". Un Rom si sente perfettamente sicuro all'interno della propria comunità. Tale sicurezza deriva dalla tradizione che lo fa sentire protetto di fronte al presente e dalla coesione del gruppo parentale che lo difende dai pericoli davanti al futuro.Questa armonia è costantemente minacciata dai contatti esterni che minano la compattezza del gruppo e le tradizioni.

Esiste all'interno di ogni comunità un tribunale (il Kriss) composto da anziani di comprovata rettitudine morale che hanno l'indiscussa fiducia da parte di tutto il gruppo: loro è il compito di far rispettare le leggi e di punire coloro che le hanno contravvenute e la pena più severa che possa essere inflitta è l'allontanamento dalla tribù che equivale al completo isolamento dell'individuo. Il condannato viene infatti a trovarsi a metà strada tra una collettività nativa che non lo vuole più al suo interno ed un'altra che non riconosce sua e che difficilmente lo accoglierà.

Sempre la necessità di spostarsi li ha resi ottimi artigiani (fabbri calderai), musicisti o commercianti di cavalli, attività queste che davano ampio spazio alla creatività e facilitavano i rapporti umani, oltre ad essere una fonte di ricchezza per la comunità grazie alla pratica del baratto. Con il passare del tempo, sparita l'usanza del baratto, fonte primaria del loro sostentamento, hanno dovuto trovare fonti alternative per potersi mantenere.

Un capitolo a parte merita la musica, vero alimento dell'anima, per il popolo zingaro. Non molti sanno che flamenco e jazz manouche derivano direttamente dalla musica zingara e che molta musica colta ottocentesca è stata direttamente ispirata da questa. Franz Liszt, che ebbe tra i suoi maestri di musica un rom ungherese, scrisse addirittura che l'intera musica tradizionale dell'Ungheria si deve agli zingari, "dotati di un senso musicale d'incredibile profondità, certamente sconosciuto a qualsiasi altro popolo".Tra le opere classiche ispirate a tradizioni zingare, si possolo citare la "Carmen" di Bizet e le "Danze Slave" di Dvorák, ma anche autori come Brahms, Ciajkovskij Schubert, Ravel e Debussy presero molti spunti dalla musica di questo popolo. Ciononostante, non c'è mai stato un riconoscimento ufficiale dell'apporto della musica zingara a quella occidentale. Parlando di musica jazz non si può ignorare che l'unico europeo a imporsi nell'olimpo del jazz classico fu Django Reinhardt, strepitoso chitarrista zingaro manouche, la cui storia è stata anche narrata nel film di Woody Allen "Accordi e disaccordi" del 1999.

Per la loro "diversità" gli zingari sono stati da sempre perseguitati: non hanno mai avuto territorio, quindi eserciti per difenderlo, né alleati, né potere politico quindi assolutamente inermi davanti a qualsiasi regime, antico o moderno. Forse per questo motivo la "fatalità" pervade il sentire zingaro ed il girovagare serve anche ad "alleviare il dolore del vivere" ricominciando sempre daccapo.

Tutto questo, assieme all'anima stessa dei Rom, è stato racchiuso con un miracolo in questo brano da ascoltare in silenzio, ad occhi chiusi, perdendoci in una musica leggera come il soffio d'un vento ma lasciando che le parole arrivino fino in profondità del nostro cuore.


Canzone? No. Malgrado Faber e Fossati si siano sempre rifiutati di venir definiti poeti, questa è poesia.

"Il cuore rallenta
E la testa cammina..."

Il ritmo è lento ed immutabile, come lenta, senza cambiamenti è la loro vita.

Lento perché parla di ricordi tramandati attraverso una linea continua di sangue, da padre in figlio .. ed in figlio .. ed in figlio ancora, senza date, senza altro bastone che la memoria.

Lento perché, se i piedi sono inchiodati

in quel pozzo di piscio e cemento

strappato ai "normali" con la stessa forza del vento, la mente è già oltre quell'orizzonte chiuso da pareti che sembrano prigioni.

Seguiamo il filo dei pensieri di un essere umano come noi; la sua anima è come la nostra solo più "libera". Non ha bisogno di prove per dimostrare chi è, né di bagagli per dimostrare la sua grandezza: tutto ciò che gli serve è racchiuso dentro di lui. Nel suo nome porta la sua storia e questo basta per venir riconosciuto dai suoi simili, trovare posto intorno ad un falò, partecipare ad un canto, oppure dividere

un diamante nascosto nel pane

perché lui conosce la ricchezza celata nelle piccole cose.

E' un "figlio del vento" ... e seguirà sempre quel "dolcissimo umore del sangue" che lo spinge a riprendere il viaggio, senza nessuna precisa meta, senz'altro scopo che il viaggiare..

Qualche fratello ogni tanto si arrende e cessa l'eterno vagare, perde il suo istinto e, andando contro la propria natura, si ferma ad imbrunire come fa un rame sul muro.

I "figli del vento" non hanno bisogno di saper leggere o scrivere per capire il mondo. Il mondo stesso è un libro tramandato

con parole cangianti e nessuna scrittura

così come

nei sentieri costretti in un palmo di mano

sono celati

i segreti che fanno paura

.. ed è forse il segreto della nostra paura verso il "diverso", quella paura che spesso chiamiamo disprezzo o pietà...

L'eterna ricerca continua...

finchè un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace

Quell'uomo, quel caggè, come definiscono i Rom quelli che Rom non sono, è Faber e quelli come lui che si riconoscono negli "emarginati" e nei "solitari".

L'ignoranza è odio per il diverso, la conoscenza è incontro: solo allora nasce la vera pace, quella che viene dal profondo del nostro animo, non quella sancita da qualche segno nero su un semplice foglio di carta.

Continua il percorso dei ricordi: ..... le persecuzioni da sempre ed in qualsiasi luogo.

i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via

Gli zingari scacciati da qualsiasi luogo ... Il "diverso" deve scomparire dalla faccia della terra ... solo allora, forse, la nostra paura cesserà di esistere... Oppure troveremo un altro "diverso" al quale far pagare la vergogna della nostra paura.

Ma dopo ogni tragedia arriva il buon tempo, come le stagioni, come il ciclo della terra stessa ...

e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere e a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere...

E, con poche struggenti note di chitarra che limpidamente segnano il cadere di quelle lacrime, il cuore si riposa ... Intorno facce d'amici, di coloro che condividono la stessa storia, che fanno parte della grande famiglia patriarcale dei Rom e che, al termine dei festeggiamenti ripartiranno...

La gioia dell'incontro, la tristezza per un addio...

La vita di ogni giorno ricomincerà, come ogni giorno bisognerà cercare quel poco che serve a sfamarsi, anche con il semplice gesto di un palmo nell'atto di chiedere l'elemosina

con le vene celesti dei polsi

nude sotto il nostro sguardo ....

e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna

.. allora guardati attorno, caggé, guarda quest'accampamento, guarda la miseria che c'è attorno, e a decidere se questo vuol dire rubare...

ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

esiste un solo uomo, tanto potente o saggio in tutta la terra ed in tutti i tempi che possa, in coscienza, dire di "raccogliere in bocca il punto di vista di Dio"?

Torna, prorompente nella sua dolcezza, la libertà... con le parole di Faber e la voce di Dori Grezzi a scuotere le coscienze nella larga aria che conclude questo splendido brano, cantata in "romanes"...

Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta...
vasu ti baro nebo
avi ker

Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna
perché l'aria azzurra
diventi casa...

...riesci a sentirci un forte soffio di libertà?

kon ovla so mutavia?
kon ovla?
ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti ...

Chi sarà a raccontare?
Chi sarà?
Sarà chi rimane...
Io seguirò questo migrare,
seguirò
questa corrente di ali...

...puoi sentirci una profonda malinconia?


Anine Salve

E' questo il manifesto dell'album anche se, curiosamente è il terzo brano, quasi come se i primi due servissero da introduzione, esattamente come in certi libri che iniziano da un punto "a caso" della storia, per poi tornare indietro, sviscerare i temi toccati e, infine, ripartire dalla storia lasciata in sospeso. E i primi due brani, in effetti, sono autentici schiaffi sui grugni dei moralisti e benpensanti, Prinçesa per il linguaggio senza mezze misure, Khorakhané perché parla di un popolo scomodo, odiato e perseguitato nei secoli, visto con gli occhi di qualcuno che conosce solo quel mondo, mondo che è la sua "normalità"...

I transessuali, i Rom, i diversi in genere sono quelli che la società cosiddetta "normale" considera "anomalie", figure antiche, sempre esistite trasversalmente, persone e gruppi che non hanno mai detenuto il potere, che non si sono mai accomodati dietro ad uno scranno per giudicare, ma che sono sempre stati, nei secoli, giudicati e condannati.

A seconda della cultura dominante al potere, sono stati di volta in volta tollerati o perseguitati, ma invariabilmente isolati e disprezzati. "Diversità" e "anomalia", in tutte le loro sfumature, sono la causa principale, forse esclusiva, degli odi, delle persecuzioni, delle guerre e, per contro, delle "sante" alleanze indirizzate allo sterminio, alla cancellazione, in una linea retta e sottile che attraversa tutta la storia dell'umanità.

Questo è un brano cantato a due voci, Fabrizio ed Ivano si alternano strofa dopo strofa, ed è facile, per chi conosce i due autori, individuare l'apporto individuale che hanno dato al testo, il ritmo è lento, quasi a sottolineare un'immutabilità di condizione nel tempo

"Mille anni al mondo, mille ancora..."

E' l'emarginato che parla e riflette sulla sua esistenza immutata nei secoli, ma è come se parlasse a nome della "coscienza collettiva".

Ci sono state giornate di pace e gioia e festa, raccolti ricchi e speranza e progetti, ma la maledizione dell'essere "anomali" torna ad ogni...

"passaggio di tempo..."

che è poi continuità per la vita degli "emarginati", dei "solitari": è il mondo dei cosiddetti "normali" che interferisce in questa continuità con l'alternarsi di momenti di tregua e di repressione in ogni "passaggio di tempo"...

E in quei "passaggi di tempo" si snoda il passato, il presente e il futuro, in una successione di illusioni e fallimenti, di sogni e umiliazioni, come una carovana che proceda lenta nel deserto e, ad ogni duna, una tempesta di sabbia ad appannare gli occhi, a chiudere gli orizzonti in un lampo di cecità e poi un'altra duna ancora, questa di quiete, di luce, di abbracciante dondolìo. Il popolo dei "diversi" acquisisce nel viaggio la memoria collettiva e tornano alla mente le cose passate, le facce impresse e perdute, ma anche il futuro, non molto diverso dall'oggi, nelle eterne ore della linea immutata e immutabile della loro esistenza...

..ore infinite come costellazioni e onde,
spietate come gli occhi della memoria,
altra memoria e non basta ancora,
cose svanite, facce e poi il futuro...

Non esiste più un senso del tempo, ricordi e visioni si mescolano in un viaggio di uomini lungo un'eternità...

Mi sono spiato illudermi e fallire,
abortire i figli come i sogni,
mi sono guardato piangere in uno specchio di neve,
mi sono visto che ridevo,
mi sono visto di spalle che partivo...

E se nei "passaggi di tempo" si acquisisce il senso di appartenenza e l'orgoglio della propria unicità, il tempo, che all'inizio del viaggio era "bello", ora diventa "grande", la "bella compagnia" diventa "solitudine"...

Orgoglio e presa di coscienza che segue allo smarrimento e all'inconsapevolezza

Ti saluto dai paesi di domani
che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo...

Il viaggio continua, in attesa di una nuova duna calma di vento o sferzata dalla bufera...


Dolcenera

Sappiamo dove siamo e in che tempo ci troviamo: Genova o dintorni, durante un'alluvione (quella del 1970 o del 1972) che seminò distruzione in tutta la zona. Ciò che non sappiamo è quello che succederà e come, nei fatti, potrà innestarsi il filo conduttore del concept: la minoranza, gli emarginati.

Sul tappeto di un ritmo latino, che continuerà ad avvolgersi intorno alle nostre gambe ed a trascinarci nel suo gorgo, un coro di donne, inizia la storia ..

Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
..........................
Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei

"Lei" è la fiumana che arriva: d'acqua dolce, nera di fango e di detriti scende verso la città.

Ma "lei" è anche una donna che, in quel momento si trova per strada. Donna sicuramente dolce, nera forse perché nasconde qualcosa che la rende colpevole agli occhi degli altri. Entrambe, l'acqua e la donna, hanno forza e determinazione, vanno contro tutto e tutti (regole, leggi, case, uomini stessi), entrambe sono decise a non fermarsi davanti a niente fino a buttar giù le porte se non venisse loro aperto......

nera di malasorte che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c'è luna luna

Entrambe chissà da quanto aspettano per esplodere ...

Ed inizia una sorta di simbiosi tra donna e fiumana, assolutamente perfetta, che continuerà per tutto il brano ed il coro di donne in sottofondo non sembra voler trasmette terrore (come dovrebbe essere se si riferisse all'acqua), è piuttosto il vociare tipico di paese.

Finalmente la donna assume connotati più precisi ed è "lui", il protagonista maschile, a presentarcela...

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un'ora

Ecco il segreto che nascondeva: l'incontro con quello che sarà, solo per un giorno, per qualche ora, il suo amante. E' questo a renderla "diversa", fuori dalla legge degli uomini, "nera", parte di quella minoranza "solitaria" in quanto messa al bando dalla maggioranza "benpensante", lei, la "moglie di Anselmo".

Là fuori il tempo infuria, ma per i due amanti esiste solo quella stanza. Della furia del cielo la donna neppure se ne accorge, mentre l'uomo ha già deciso che non è il loro, il momento sbagliato, ma è il cielo che ha sbagliato momento perchè

e l'amore ha l'amore come solo argomento

Mentre fuori la città è ormai in preda al panico, per lei, la moglie d'Anselmo, lo scrosciare della pioggia e l'infuriare dell'acqua sono solo il completamento di ciò che le sta scorrendo nelle vene, una sorta di colonna sonora che dà forza all'amplesso .. come il mare

quando ingorga gli anfratti si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell'onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda

L'acqua, fuori, è dappertutto, la devastazione è totale: roba che sembra si possa vedere solo sui giornali, non nella realtà. Dove trovare un colpevole? Chi maledire?

E la folla ormai sembra una tonnara, con l'acqua che incombe, che trascina nella rete e non lascia scampo... Come questa musica che continua ad attorcersi intorno alle gambe e non ci molla.. mentre la gente è trascinata per le strade da quella corrente fangosa, cercando un appiglio ... un rifugio .. una via per sfuggirle...

E alla fine gli elementi si placano, lasciando solo desolazione...

Come su un campo di battaglia, i sopravvissuti non possono far altro che "prendersi per mano", stringere per mano la vita e cercar di andare avanti...

Anche per gli amanti la battaglia è finita e possono,anche loro, per un attimo, prendersi la mano, guardarsi negli occhi, prima di ritornare ognuno alla propria vita.

Tutto è durato un giorno, un giorno nel quale l'unico fine era quello di perdersi per aversi, senza illusioni, senza domani...

come fa questo amore che dall'ansia di perdersi
ha avuto in un giorno la certezza di aversi

Assieme all'acqua anche la donna si ritira e la simbiosi tra le due ricomincia

... sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore

Tra la gente la donna, come l'acqua, è infame, indesiderata, ma entrambe sono senza rimorsi: dovrebbero forse averne?

Ancora scollegata dal mondo, spiazzata, con tanto tempo che ora le avanza, senza più l'ansia di quell'amore oramai al passato è sola con un dolore, freddo come quell'acqua, nascosto nell'anima...

Amìala ch'â l'arìa amìa cum'â l'é
amiala cum'â l'aria ch'â l'è lê ch'â l'è lê
........................
Guardala che arriva guarda com'è com'è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei

Sta parlando dell'acqua, la gente, o di lei?


Le acciughe fanno il pallone

Cogliere l'attimo: è questo il tema.

A dover cogliere l'attimo è un uomo in pratica già vinto dalla quotidianità di un'esistenza e senza speranze e "l'attimo" per lui equivale a strappare un branco di acciughe ai predatori che, come lui, quelle stesse acciughe inseguono.

Mondo di pescatori, non diverso da quello visitato da Faber in "Creuza de mä", e il sipario si alza su una scena in mare...

Guarda il branco di acciughe che affiora, forza, in fretta, butta la rete...

che sotto c'è l'alalunga

...come nella sua vita: c'è sempre un predatore, sotto, pronto a portar via di mano quel poco che pensava d'avere..

se non butti la rete
non te ne lascia una

ma nonostante questa fortuna insperata, il pescato è di varietà povera, e quando si venderà il ricavo sarà magro, insufficiente...

E allora perché continuare questa vita fatta di privazioni, di sudore, di fatica? Non sarebbe meglio evitare la gente, sbarcare in un posto isolato e ritrovare la propria dignità nella solitudine, finalmente padroni di sé stessi?

...perché intanto il tempo, inesorabile, passa....

ogni tre ami
c'è una stella marina,
amo per amo
c'è una stella che trema,
ogni tre lacrime
batte la campana...

...la campana che scandisce ogni esistenza che si consuma...

Ma la vita è questa, non scelta, ereditata, e non resta che sognare ad occhi aperti le donne irraggiungibili, mentre le reti si asciugano al sole...

passano le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro
passano sotto le reti
che asciugano sul muro

Eppure si dice che in mare ci sia un tesoro che viene dall'Oriente e che potrebbe cambiare la vita, un tesoro che tutti dicono di aver visto, ma che nessuno è mai riuscito a "recuperare"

e in mare c'è una fortuna
che viene dall'oriente
che tutti l'hanno vista
e nessuno la prende

e intanto il tempo, spietato, passa, e non resta che affogare i dispiaceri e la solitudine nel vino, nell'attesa del colpo di fortuna, la cattura del "pesce d'oro" che cambierà la vita...

se prendo il pesce d'oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d'oro
mi sposerò all'altare

...eterna attesa....

...ma intanto, in fretta, butta la rete, prima che sia troppo tardi che questa è la tua realtà...

le acciughe fanno il pallone
che sotto c'è l'alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
non te ne lascia una
non te ne lascia...

Il brano si chiude in un'atmosfera mediterranea, con il suono orientaleggiante della gaida, per allargare i confini di una solitudine senza tempo e senza latitudini....


Disamistade

Questa è una storia antica, ma ancora attuale, vissuta e subita per ignoranza, per incomprensibile tradizione, semplicemente perché è... così...

Come non esiste una precisa collocazione temporale, non esiste neppure un luogo preciso, potrebbe essere in qualunque parte sperduta del mondo, oppure dietro un muro di una nostra città: due famiglie nemiche, due fazioni in lotta, una faida, sono miserie comuni a tutti i popoli di ogni latitudine e di ogni era...

"Riconciliazione" è un vocabolo che non uscirà mai da quelle labbra, "pace" solo due sillabe da serrare tra i denti. Eppure in un angolo sperduto della mente, quelle due parole esistono, una tenera brace tra un cumulo di grigia cenere...

La musica è "monocorde", ricorda lo scacciapensieri, ed è contemporamente ritmica. Un orologio dalle lancette bloccate che continua a scandire sempre lo stesso tempo chissà per quanto ancora. C'è una cappa che copre tutto il brano, una cappa pesante.

E le due famiglie si ritrovano, la domenica, davanti a una chiesa,

a misura di braccio
a distanza di offesa

tanto vicine che...

...alla pace si pensa
che la pace si sfiora

Ma una cosa li divide, il dolore che si sono procurate a vicenda, generazione dopo generazione e tramandate nella memoria collettiva...

e per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà

Il dolore tramandato, si trasforma nella paura che la tragedia possa un giorno bussare alla porta, tanto che, basta un schiocco di fucile in lontananza, per generare una fitta al cuore, l'attesa di un ritorno a casa per la cena si trasforma in un'agonia ....

E in questa guerra, come in ogni guerra, vi sono vittime innocenti...

che ci fanno queste figlie
a ricamare a cucire
queste macchie di lutto
rinunciate all'amore

Hanno perduto ogni speranza nel futuro, carpitale loro dal nemico, almeno così pensano, poiché è un pensiero comune ad entrambe le fazioni e tale resterà per il muro di diffidenza che si sono costruite con i propri veli, con quelle labbra serrate ad un qualunque sorriso....

Ma in quella chiesa per un attimo pare accadere un miracolo, le due famiglie che, in osservanza del rito, si scambiano un segno di pace...

e una fretta di mani sorprese
a toccare le mani...

un lampo di speranza...

che dev'esserci un modo di vivere
senza dolore"

subito spento, appena si incrociano gli sguardi...

...una corsa degli occhi negli occhi
a scoprire che invece è soltanto un riposo del vento, un odiare a metà...

...soltanto una brevissima tregua ed anche se quell'odio restasse a metà...

...alla parte che manca
si dedica l'autorità...

L'odio è il padre violento della solitudine, il carceriere inflessibile che misura quel metro d'aria che separa l'isolamento dalla libertà, la sventura dall'avventura, in una...

... corsa del tempo
a sparigliare destini e fortuna

E quel barlume di speranza di normalità, si spegne piano piano come una candela all'uscita dalla chiesa...

che ci fanno queste anime
davanti alla chiesa
questa gente divisa
questa storia sospesa

Rimane solo un mozzicone di cera ed un lievissimo filo di fumo...


 cúmba

Gh'aivu 'na bella cùmba ch'à l'é xeûa foea de cà
gianca cun'à néie ch'à deslengue a cian d'à sâ
.............................
(Avevo una bella colomba che è volata fuori di casa,
bianca come la neve che si scioglie al Pian del Sale)

E' il pretendente a parlare con la voce di Fossati. Sta cercando la "bianca colomba" per la quale si strugge d'amore, tanto da sognare d'averla già in casa, su, a Pian del Pane, come sua sposa e si rivolge al padre di lei ...

Cau ou mè zuenottu ve porta miga na smangiaxun
che se cuscì fise puriesci anàvene 'n gattixun
.............................
(Caro il mio giovanotto, non vi porta mica un qualche prurito?...
Che se così fosse potreste andarvene in giro per amorazzi...)

Ma il padre la protegge come un tesoro di inestimabile valore. Certamente non la darà al primo che passa! Mai sia! Quella preziosa colomba dovrà vivere come una regina, esattamente come ha vissuto fino a quel momento!

Il ritmo è quello di un canto popolare con sullo sfondo un coro di donne ... possiamo immaginarle nei campi o mentre rammendano le reti, o mentre filano fuori dalla porta di casa ed il tono delle loro voci è chiaramente asservito al "sì", al potere ora rappresentato dal padre, così sottolineano ed approvano ogni concetto che egli esprime

Nu ghe n'é âtre nu ghe n'é / nu ghe n'é âtre nu ghe n'é
.............................
(Non ce n'è, altre non ce n'è, non ce n'è, altre non ce n'é!...)

Oh no! Altre come la bianca colomba proprio non ce ne sono!

Ma il pretendente pressa, promette di tenerla a dondolarsi sotto una pergola di melograni, di trattarla con la stessa mano leggera che il bambagiaio usa con la sua preziosa seta finchè il padre cede:

Zuenu ch'âei bén parlòu 'nte sta seian-a de frevâ
Saèi che sta cumba à mazu a xeuâ d'â më 'nt â vostra câ
.............................
(Giovane che avete ben parlato in questa sera di febbraio,
sappiate che questa colomba a maggio volerà dalla mia nella vostra casa.)

E s'invola, la bianca colomba, verso quella nuova vita che le si apre davanti, colma di promesse di felicità: è una donna, ormai. Già il coro di donne s'infervora per la novità dell'imminente matrimonio .. si sposerà ... andrà a Pian del Pane ... bianca come la neve che scorre sciolta dal rio, ma ...................................

Cùmba cumbétta / beccu de séa
sérva à striggiùn c'ou maiu 'n giandùn
Martin ou và à pë / cun' l'aze deré
foegu de légne anime in çé.
.............................
(...Colomba colombina, becco di seta,
serva a strofinare per terra col marito a spasso,
Martino va a piedi con l'asino dietro,
fuoco di legna, anime in cielo...)

Eh già, l'unica della quale non abbiamo udito la voce è lei, la bianca preziosa colomba... In realtà cambierà nido ma non vita: serviva nella casa del padre, ora servirà in quella del marito.

E forse un giorno non lontano, forse anche subito, si unirà al coro di donne asservite al "sì".

Nu ghe n'é âtre nu ghe n'é / nu ghe n'é âtre nu ghe n'é
.............................
(Non ce n'è, altre non ce n'è, non ce n'è, altre non ce n'é!...)


Ho visto Nina volare

Notte, carta assorbente che si impadronisce delle piccole paure e dei piccoli pensieri nati alla luce del sole e li ingrandisce, li mischia l'uno all'altro, li rende neri ed incombenti come quel buio che ci penetra negli occhi e nelle orecchie facendoci sentire ancora più piccoli, ancora più soli.

Notte che dà vita alle ombre e, con il suo silenzio, amplifica i rumori togliendo loro direzione e misura. Con le stelle che sembrano premere contro le mura del tuo letto.

Un ragazzo, forse, in una cascina isolata, sa di non poter dormire. Forse le percussioni che introducono il brano sono solo il suo cuore spaventato anche dalla sua stessa voce, in quella notte d'inchiostro, eppure pronto ad afferrare l'attimo, a non farsi fermare dalla vita, forte nelle adolescenziali certezze che non conoscono limiti né confini

Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall'altra la cera
mastica e sputa
prima che venga neve

e rivolge alla sua stessa consapevolezza

luce luce lontana
più bassa delle stelle

l'eterna domanda senza risposta ...

quale sarà la mano
che ti accende e ti spegne

Chi è che decide per noi, chi ci impone il cammino?

Come cuore e mente, anche il suo corpo è in subbuglio. L'istinto ed i sensi si fanno strada anche nell'immagine ossessiva di una bimba che vola

tra le corde dell'altalena

e nel pensiero prepotente e proibito

un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena

tarpato dalla coscienza di contravvenire a regole non scritte, forse neppure dette...

e se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare

...regole rappresentate dalla figura incombente del padre.

Lui e la necessità di ogni individuo d'essere padrone della propria vita, contro i principi che spesso questa necessità schiacciano.

Nella note, il doppio, il "cattivo" assume le sembianze de

l'ombra che mi fa il verso

celiando le paure dell'altro, il "buono", che si difende finchè può e come può, con le armi che ha...

le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso (*)

Negli schemi di un adolescente il "buono" è "buono" ed il "cattivo" è "cattivo": per ora non ha dubbi, ma i dubbi non tarderanno a venire, stuzzicati da quell'impellente bisogno di assumere il comando della propria vita, di decidere anche al di là delle regole. Quello stesso bisogno combattuto , ora, nei pensieri notturni.

E' pronto a crescere, a diventare uomo, sa che non può far altro.. la vita gli preme contro e lui dovrà lasciarsi spingere avanti, tra sofferenze e felicità, come ogni altro uomo e afferrare l'attimo...

prima che venga neve


Smisurata preghiera

.. e così sia ....

Solo di questo si tratta in effetti: di una preghiera smisurata perché lunga millenni, preghiera sommessa (anche se in apparenza non lo è) rivolta direttamente al Creatore, a Colui che sta sopra le parti. Fabrizio De Andrè si è rivolto direttamente a Lui solo quando era strettamente necessario: in "Preghiera in Gennaio" scritta alla morte di Luigi Tenco

Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l'inferno esiste solo
per chi ne ha paura...

in "Spiritual"

Dio del cielo io ti aspetterò
nel cielo e sulla terra io ti cercherò

Quello di Faber è un Dio poco impiccione che lascia i figli a sbrigarsela da soli, in fondo come un buon padre, come quello de "La città Vecchia

Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d'altri paraggi

Un Dio Padre che, come succede spesso, a volte viene disconosciuto dai figli:

Ho licenziato Dio
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell'anima e nel cuore.
(da "Il Cantico dei Drogati")

ed, infine, un Dio in nome del quale gli uomini han fatto le loro leggi, mettendogli in bocca parole non sue:

E se furon due guardie a fermarmi la vita,
è proprio qui sulla terra la mela proibita,
e non Dio, ma qualcuno che per noi l'ha inventato,
ci costringe a sognare in un giardino incantato
(da "Un Blasfemo")

In chiusura di questo concet Faber si rivolge direttamente a Lui con un brano a dir poco criptico: per poterlo comprendere non dovremmo mai dimenticarne il titolo, "Smisurata Preghiera".

Lo stesso Ivano Fossati ci mette sull'avviso:

"Credo che non abbiamo ancora pienamente scoperto Fabrizio De André, molte cose deve ancora dircele, le dobbiamo comprendere, riguardano il futuro. ........... In Smisurata preghiera, Fabrizio riesce a parlare con ispirazione e premonizione di un tema difficilissimo come maggioranza e minoranza. Poi c'è la musica, che è mia, ma è veramente meno importante."

E' assodato che l'idea nasce in Faber dopo la lettura della "Saga di Maqroll il gabbiere "di Alvaro Mutis, meno noto il fatto che lo stesso autore scrive anche "Gli elementi del disastro", frase riportata fedelmente e concettualmente nel brano stesso..... Possiamo definire Mutis una specie di co-autore?

Le musiche "sono" Ivano Fossati che, reduce da "Macramé", in "Smisurata Preghiera" dispiega la sua propensione jazzistica del momento e, anche in questo caso, musica e parole formano un tutt'uno.

L'umanità è nettamente tagliata in due, divisa da insormontabili barriere, quasi cieca l'una all'altra. Da una parte il "branco", le persone dabbene, quelle che seguono le leggi scritte e non scritte, consolate dalla falsa sicurezza delle regole, quasi rifugiate in alte torri che le preservano anche da possibili contagi. Distanti

dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla

seguendo il loro

facile vento
di sazietà di impunità

Il "branco" della maggioranza continua da millenni, imperturbabile, la propria vita,

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso

Ma di quale scandalo parla De André? Le armi sono vere?...Eppure nel concept non si parla di guerra... E se guerra fosse, chi sarebbero gli "eserciti" contrapposti? Maggioranza e Minoranza? E' ben vero che la maggioranza ha guerreggiato sempre durante i millenni, ma è altrettanto vero che mai la minoranza si è sognata di farlo, neppure nel caso dei Rom perseguitati e sterminati.. Ma è indiscutibilmente certa la puntigliosità con la quale Faber sceglieva i termini, quindi di scandalo si tratta e di armi pure. E' altrettanto certo che, in tutta la storia dell'uomo, la Maggioranza ha usato svariate armi contro coloro che non erano accettati dal branco: persecuzioni, stermini, dileggio, scomunica... anche la semplice calunnia può essere un'arma. Ed ogni tempo ha avuto la sua arma ed in ogni tempo qualche preconcetto è caduto solo per far posto ad un altro preconcetto, altri si sono semplicemente modificati.

Tutte queste "armi" rappresentano sicuramente una vergogna, uno scandalo, talmente evidente, palpabile, "fisico", abbacinante, "costruito" da altri uomini da poter venir definito "metallico".

Come un eterno aguzzino, è la Maggioranza

a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera

visto che da sempre decide regole e leggi, scordando quanto facile sia trovarsi all'improvviso fuori dalle regole e, quindi, nel mezzo della colonna di dolore.

Ma finchè và (e và da sempre), la Maggioranza snocciola un

.... rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

In senso assoluto, alla luce della stessa storia dell'uomo, la Maggioranza è

come una malattia
come una sfortuna
come un'anestesia
come un'abitudine

Se fosse parola lecita parlando di Faber, diremmo che con questo "verdetto storico" si chiude drasticamente il discorso sulla Maggioranza: ce ne ha fatto una sorta di ritratto che non prevede ritocchi: d'ora in poi verrà scordata, accantonata "come una malattia, come un'abitudine". Quasi impercettibilmente il suo tono cambia, senza per questo interrompersi, come il tono del pianoforte di Fossati che lo segue, la voce si dispiega perché è qui che inizia la "Smisurata Preghiera", l'orazione che Faber rivolge a Dio. Ma chi è che prega?

Forse tutti gli uomini di buona volontà, nel senso più alto e più puro del termine e pregano...

Pregano...

per chi viaggia in direzione ostinata e contraria
col suo marchio speciale di speciale disperazione

per tutti coloro che, semplicemente uomini tra gli uomini, hanno cercato di por rimedio allo scandalo, di mostrare che tutti siamo uguali, tutti figli dello stesso unico Dio, portando avanti fino in fondo la loro battaglia disperata, senza calcolare gloria o onori, forse solo

per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

Pregano ....

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

Al primo impatto sembra già d'aver trovato la chiave di lettura: Faber parla di Gesù, come già molte altre volte aveva fatto. Il più grande filosofo dell'Amore, l'aveva definito, "fratello anche mio" (come dice ne "La Buona Novella"), quell'uomo che visse

E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire non sia servito a molto
perché il male dalla terra non fu tolto
("Si chiamava Gesù")

Ma immediatamente le sue stesse parole sconfessano le nostre certezze. Aqaba, per quanto città giordana, non ha nessun legame con Gesù.. riporta invece a Maometto ed all'Hejira, l'espatrio, che lo portò ad abbandonare La Mecca per Medina. E già perdiamo l'attinenza con la lebbra.

Ancora peggio, né Gesù né Maometto possono aver generato dei "figli con improbabili nomi di cantanti di tango". C'è un altro Uomo che ha segnato, al di là delle fedi religiose o politiche, la nostra storia; un Uomo che, in un altro tempo ed in un altro continente, ha guardato a coloro che vivevano fuori dal branco. Un uomo che, ancora studente di medicina, viaggiò per oltre quattromila chilometri in compagnia di un amico in posti sperduti, fermandosi nei lebbrosari a curare i malati e che, alla fine della sua storia, lasciò figli dagli "improbabili nomi di cantanti di tango".

Un altro Uomo al quale, per motivi completamente diversi, la storia e la Maggioranza hanno consegnato uno scettro posticcio, scettro, come nel caso di Gesù e Maometto, che non era stato assolutamente richiesto: quest'uomo era Ernesto "Che" Guevara.

Che accostamenti dissacranti!! Esattamente quelli ai quali ci ha abituato Faber!

Il "Figlio di Dio", il "Profeta dell'Islam" ed il "Che" accomunati in un'unica figura come se lo stesso spirito o lo stesso DNA ricomparisse in tempi e luoghi diversi a ricordarci la "Verità"!!!

Che lezione!

Esattamente come in un rito religioso, dopo aver nominato coloro per i quali si prega, gli occhi salgono al Padre

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco

ed una supplica si leva:

non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare

(spesso brancoliamo nel tentativo di seguire la via giusta e la vita spesso mette di mezzo ostacoli che non avevamo previsto...)

è appena giusto che la fortuna li aiuti

(... è dall'inizio del tempo, Signore, che la fortuna evita quelli che sono fuori dal branco...)

come una svista
come un'anomalia
come una distrazione
come un dovere

e tutto il peso di un'umanità sofferente cala su questa parola come solo Faber avrebbe saputo fare

Assieme alle parole anche la musica incalzante e ritmata cessa: tutto ciò che c'era da dire è stato detto.

Il brano termina in una larga aria di pace...come nell'attesa che Dio accolga la smisurata preghiera...

Rosalba Crosilla e Starless

Anime Salve - front


Anime Salve - retro








Anime Salve
tracklist

  • 1. Prinçesa – 4:52
  • 2. Khorakhané (A forza di essere vento) – 5:32
  • 3. Anime salve – 0:52
  • 4. Dolcenera – 4:59
  • 5. Le acciughe fanno il pallone – 4:47
  • 6. Disamistade – 5:13
  • 7. Â cúmba – 4:03
  • 8. Ho visto Nina volare – 3:58
  • 9. Smisurata preghiera – 7:08

  • Musicisti:
  • ........ in Prinçesa
  • Ellade Bandini batteria
  • Naco wood block, zabumba, shaker, doppio triangolo, molla, djembé, bongo e conga
  • Pier Michelatti basso
  • Michele Ascolese chitarra classica
  • Massimo Gatti mandolino e mandola
  • Sàndor Kuti cymbalom
  • Vladimir Denissénkov bayan
  • Giancarlo Porro clarinetto
  • Piero Milesi violoncello
  • Dori Ghezzi, Luvi De André, Silvia Paggi, Beppe Gemelli, Robson R. Primo (Agata), Roberto Esteráo (Roberta) voci
  • Neusinha Escorel, Patricia Figueredo, Rosa Emilia voci recitanti
  • Tiziano Crotti e Paolo Iafelice sonoro in esterni

  • ........ in Khorakhané (A forza di essere vento)
  • Michele Ascolese chitarra elettrica
  • Sàndor Kuti cymbalom
  • Riccardo Tesi organetto
  • Piero Milesi tastiere
  • "Il Quartettone" orchestra d'archi
  • Carlo De Martini direzione d'orchestra
  • Dori Ghezzi voce

  • ........ in Anime salve
  • Ivano Fossati voce
  • Ellade Bandini batteria
  • Naco darbuka, molla, conga e shaker
  • Pier Michelatti basso fretless
  • Alberto Tafuri pianoforte e tastiere
  • Mario Arcari mancoseddas e corno inglese
  • Massimo Spinosa editing
  • Tiziano Crotti e Paolo Iafelice sonoro in esterni

  • ........ in Dolcenera
  • Ellade Bandini batteria
  • Naco udu, urucungu e shaker
  • Pier Michelatti basso
  • Fabrizio De André chitarre classiche
  • Gianni Coscia fisarmonica
  • Cecilia Chailly arpa paraguaiana
  • Mario Arcari corno inglese
  • Michela Calabrese D'Agostino flauto
  • Giancarlo Porro clarinetto
  • Silvio Righini violoncello
  • Dori Ghezzi, Luvi De André voci

  • ........ in Le acciughe fanno il pallone
  • Naco darbuka, conga, udu, talking drum, caxixi e wood block
  • Pier Michelatti basso
  • Cristiano De André chitarre classiche, tastiere, violino e shaker
  • Michela Calabrese D'Agostino flauto
  • Mario Arcari shanai

  • ........ in Disamistade
  • Naco berimbau e tamburello
  • Elio Rivagli damigiana
  • Fabrizio De André chitarre classiche
  • Silvio Righini violoncello
  • Piero Milesi tastiere
  • Alberto Morelli tlapitzalli e bansuri
  • "Il Quartettone" orchestra d'archi
  • Carlo De Martini direzione d'orchestra

  • ........ in  cúmba
  • Ivano Fossati voce
  • Ellade Bandini batteria
  • Naco rastrello, caxixi, djembè, guarnizione di filo elettrico, gong, conga e shaker
  • Pier Michelatti basso fretless
  • Fabrizio De André, Michele Ascolese chitarre classiche
  • Dori Ghezzi, Luvi De André, Silvia Paggi voci

  • ........ in Ho visto Nina volare
  • Ellade Bandini tom
  • Fabrizio De André nacchere e couscous
  • Naco bubboli
  • Pier Michelatti basso fretless
  • Francesco Saverio Porciello chitarra classica
  • Piero Milesi pianoforte e tastiere
  • Alberto Morelli bansuri
  • Massimo Spinosa editing

  • ........ in Smisurata preghiera
  • Elio Rivagli batteria
  • Naco djembé, talking tablim e shaker
  • Alberto Tafuri pianoforte e tastiere
  • Pier Michelatti basso a cinque corde
  • Franco Mussida chitarra classica

  • Mario Arcari mancoseddas
  • Riccardo Tesi organetto
  • "Il Quartettone" orchestra d'archi
  • Carlo De Martini direzione d'orchestra


la biografia di
Fabrizio De Andrè