MUSICA

La Buona Novella

Fabrizio De Andrè

recensione

“Nel 1969 scrivevo La buona novella.
Eravamo in piena rivolta studentesca; i miei amici, i miei compagni, i miei coetanei hanno pensato che quello fosse un disco anacronistico.
Mi dicevano: "cosa stai a raccontare della predicazione di Cristo, che noi stiamo sbattendoci perché non ci buttino il libretto nelle gambe con scritto sopra sedici; noi facciamo a botte per cercare di difenderci dall'autoritarismo del potere, dagli abusi, dai soprusi." ....
Non avevano capito - almeno la parte meno attenta di loro, la maggioranza - che La Buona Novella è un'allegoria.
Paragonavo le istanze migliori e più ragionevoli del movimento sessantottino, cui io stesso ho partecipato, con quelle, molto più vaste spiritualmente, di un uomo di 1968 anni prima, che proprio per contrastare gli abusi del potere, i soprusi dell'autorità si era fatto inchiodare su una croce, in nome di una fratellanza e di un egualitarismo universali. (omissis)”
(da un’intervista a Fabrizio De Andrè)

E’ impossibile capire “La Buona Novella”, uscita nel 1970, senza calarsi nella situazione storica sia Italiana che mondiale di quegli anni ed ho preferito proporvi le parole dello stesso De Andrè per spiegarne il contesto, piuttosto che dilungarmi in un’analisi personale superficiale e sempliciotta, tratta dai miei ricordi di ragazzina che quegli anni li ha vissuti, di “striscio” ma li ha vissuti.

Posso dire che nel 1968 uccisero Martin Luther King, che eravano in piena guerra del Vietnam, che venne assassinato Robert Kennedy, che i russi invasero la Cecoslovacchia e che dopo qualche mese Jan Palah 21enne studente di filosofia, si cosparge di benzina e si da fuoco in piazza Venceslao per attirare l’attenzione del mondo sul suo paese.

Anni tranquilli, praticamente .......

De Andrè scrive i testi de “La Buona Novella” basandosi sui “vangeli apocrifi” (letteralmente segreti, nascosti) scritti da storici bizantini, arabi, armeni, greci e non divulgati in quanto già dal IV sec. venivano considerati non adatti a venir compresi dalle masse (da una nota riportata nel disco).Sarà la Chiesa ad attribuire ad “apocrifo” il significato di “falso” per dare spazio soltanto agli scritti degli apostoli.

In questi testi i protagonisti sono persone in carne ed ossa, pieni di unamità e si ha la misura esatta di quanto poco valore avesse la vita di coloro che potere non avevano. Quanto poco valore ha la vita di Maria, sacrificata prima, come un ex-voto, a vivere nel tempio, e data poi in sposa a Giuseppe quando, diventata donna, avrebbe potuto “contaminare” il luogo sacro. E quanto poco valore ha la volontà di Giuseppe stesso, costretto a prendere in sposa una bambina.

I testi si dipanano raccontati da una voce narrante o dagli stessi protagonisti (tutti meno Gesù) con la solita enorme poesia ed ironia che contraddistingue (non voglio usare il passato) i testi di De Andrè. Tutti meno Gesù ho detto: infatti il protagonista assoluto rimane quasi un’entità astratta. Si parla di lui, si parla a lui, ma lui tace. Niente Orto degli Ulivi, niente interrogatorio davanti a Pilato, niente “nelle tue mani rimetto la mia anima”. Lui è raccontato dalla sofferenza degli altri, non si racconta.

Forse questo è un lato che sfugge alla prima occhiata, ma è per me essenziale. Ancora una volta De Andrè ha fatto parlare i derelitti, i diseredati che nella vita e nella morte di quest’uomo hanno trovato una speranza.

“ .... io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”
("Il Testamento di Tito".. parla uno dei due ladroni)

Tutto vissuto nella pelle dei protagonisti e passando di pelle in pelle.

Siamo nella pelle di Maria quanto racconta quello che

“forse era sogno, ma sonno non era”

O l’arrivo dell’angelo, lo stesso che da piccola al tempio

“le divideva il tempo fra cibo e signore”

Durante l’assenza di Giuseppe (durata 4 anni), che le chiede “Conosci l’estate?”. Dice Maria:

“per un giorno, per un momento
corsi a vedere il colore del vento”…
“scendemmo là dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega.
Ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena"

Il sogno svanisce all’arrivo dei Sacerdoti, con le loro ombre lunghe, incombenti. Rimane solo

“ .... eco lontana di brevi parole.
Lo chiameranno figlio di Dio.
Parole confuse nella mia mente,
svanite nel sogno ma impresse nel ventre”

“E te ne vai, Maria, tra l’altra gente
che si raccoglie intorno a tuo passare.
Siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre”

Gli anni passano non raccontati, Gesù è stato condannato e sta salendo verso il Golgota. Lungo il cammino di gente ce n’è tanta e i loro sentimenti contrastanti premono e si accavallano. De Andrè ci obbliga a sentirli uno ad uno.

L’odio incontenibile dei genitori dei neonati fatti uccidere da Erode che vorrebbero

“poterti smembrare coi denti e le mani,
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,
di morire in croce
puoi essere grato
a un brav’uomo di nome Pilato”

Il dolore annientante delle vedove, le fedeli,

“ .... umiliate da un credo inumano
che le volle schiave ancor prima di Abramo,
con riconoscenza ora soffron la pena
di chi perdonò a Maddalena,
di chi con un gesto soltanto fraterno
una nuova indulgenza insegno al padreterno”

La viltà degli apostoli che

“ ... confusi alla folla ti seguono muti,
tremanti al pensiero che tu li saluti.
A redimere il mondo, gli serve pensare,
il tuo sangue può certo bastare.
La semineranno per mare e per terra,
tra boschi e città la tua Buona Novella,
ma questo domani, con fede migliore,
stasera è più forte il terrore

Mancano, tra tutti coloro che si assiepano lungo il cammino-agonia, i derelitti, i fuori-casta, i paria: lo spettacolo è qualcosa che appartiene al "branco", alla "maggioranza" (temi anche questi cari a Faber e che spesso ritroveremo nei suoi testi)

“Ma gli occhi dei poveri piangono altrove:
non sono venuti a esibire un dolore
che alla via della croce
ha proibito l’accesso
a chi ti ama come se stesso”.

In realtà ci sono dei "paria" e pure con un posto in prima fila, quasi a togliere un po' di visibilità a Gesù stesso

“perdonali se non ti lasciano solo,
se sanno morir sulla croce anche loro.
A piangerli non han che le madri,
ma in fondo
son solo due ladri”.

Se l'album inizia con il corale “Laudate Dominum”, finisce con un “Laudate Hominem”. La musica cambia, finora era dolce e ritmata, ora è urlata. Sono cambiati i tempi, siamo ai giorni nostri, ed è tutta l’umanità che parla.

Racconta del potere che uccide un uomo nel nome di un dio; dell’ucciso che diventa dio egli stesso e nel suo nome altri uomini vengono uccisi.

C’è il rifiuto di questa perversa spirale, c’è la richiesta urlata di una fede che insegni il perdono e la fratellanza:

“non devo pensarti figlio di dio, ma figlio dell’uomo, fratello anche mio”.

Rosalba Crosilla

Pubblicato nel 2004 - rivisitato nel 2012