MUSICA

La Storia del Progressive Rock

Dal suo apice alla fine ed alla nascita del Neo-Progressive



Il periodo d'oro

“In the Court of the Crimson King” (recensione) viene considerato l’origine ed il manifesto del Progressive perché ne contiene gran parte degli elementi caratterizzanti. “21st century Schizoid Man”, brano che apre l’album, ci scaraventa d’impatto dentro un allucinato mondo dell’allora futuro, oggi presente, un mondo opprimente, violento come i suoni che urlano gli strumenti: ed ecco gli improvvisi cambi di ritmo, gli assoli che spezzano le frasi, le rincorse, i continui ritorni del riff feroce, intollerabile e angosciante. La splendida “I talk to the Wind” ci trascina in un universo contrapposto, sognante ed estasiato ed è dominata dal lirismo della voce di Greg Lake e dal flauto di Ian Mc Donald, così come la malinconica e velata “Epitaph” (Confusion we’ll be my epitaph…”) e la grandiosa “The Court of the Crimson King”, mausoleo all’ambientazione Progressive.

Come in mille altri casi della vita, molto probabilmente il Progressive non avrebbe mai visto la luce se i King Crimson (biografia e discografia) nel luglio del 1969, non fossero stati gruppo di supporto al concerto gratuito dei Rolling Stones ad Hyde Park di fronte a 650.000 persone: una pubblicità così clamorosa consegna immediatamente i King Crimson all’olimpo della Hit Parade inglese dove raggiungono il sesto posto per vendite nel novembre dello stesso anno: incredibile per un gruppo al debutto.

Quel nuovo “suono” incomincia ad essere passato nelle radio inglesi più d’avanguardia e ripreso anche da molte emittenti europee contribuendo alla diffusione di questi intarsi vocali e strumentali del tutto estranei all’orecchio dell’ascoltatore.

Quello stesso anno vede il debutto degli Yes (biografia e discografia) del cantante Jon Anderson, del bassista Chris Squire e del batterista Bill Bruford. L’album, chiamato semplicemente “Yes”, mostra tutte le peculiarità che caratterizzeranno il gruppo nell’intera successiva produzione: armonie impeccabili e pulite, piene di enfasi e roboanti che fanno immediatamente pensare alla musica sinfonica e jazz. L’album contiene sia covers di gruppi famosi reinventate in stile Progressive, come la sorprendente “I see you” dei Byrds, un esperimento jazz del chitarrista Peter Banks e del batterista Bill Bruford che giocano attorno al riff originale, che anche e soprattutto brani originali.

I Pink Floyd (biografia e discografia), dopo aver inciso “More”, colonna sonora dell’omonimo film, sempre nel 1969 pubblicano “Ummagumma”, album doppio venduto al prezzo di un album normale, che contiene una parte dal vivo, registrata a Birmingham ed a Manchester nel giugno dello stesso anno, ed una parte in studio molto sperimentale nella quale ogni membro del gruppo porta la sua personale musica. I Pink Floyd non fanno parte del Progressive in senso stretto, la loro musica è ineguagliabile ed ineguagliata, ma alcune loro composizioni entrano ed escono dai canoni del Prog, basti pensare alla suite di "Atom Heart Mother" (recensione), alle composizioni “concept” come “The Dark side of the moon” (recensione) o “The wall” (recensione). La loro musica quindi si intreccia e va a braccetto in quegli anni con quella degli altri gruppi Progressive dai quali ricevono ed ai quali cedono alcune caratteristiche.

Dalla cosiddetta “Scuola di Canterbury” provengono invece i Soft Machine che, nel 1969, incidono il loro secondo album, intitolato appunto “Volume Two”, che combina l’energia del rock psichedelico con l’improvvisazione vibrante del jazz. I Soft Machine non hanno mai avuto un successo di massa, proprio per le caratteristiche surreali e spesso inaccessibili della loro musica, ma nei primi anni settanta diventano uno dei gruppi più seguiti ed amati nell’ambiente underground londinese. Nonostante il successo di nicchia, i Soft Machine sono una delle band che influenzerà maggiormente tutta la scena musicale di quegli anni.

Sempre nel 1969, i Van Der Graaf Generator incidono il loro secondo album “The least we can do is wave to each other” associando alla musica sperimentale e cerebrale, testi che spaziano dal misticismo all’astrologia, alla numerologia, alla magia, alla fantascienza, all’ecologia.

In quasi tutti i concerti londinesi dei Van Der Graaf Generator appare di spalla un nuovo gruppo emergente sulla scena musicale inglese a cavallo degli anni sessanta e settanta. Il gruppo fondato nel 1965 da quattro studenti della Charterhouse School a Godalming nel Surrey, ovvero Peter Gabriel, Tony Banks, Michael Rutherford e Anthony Phillips a cui si aggiunge il batterista Chris Stewart, nel 1967 prenderanno il nome di Genesis (biografia e discografia). Proprio nel 1969 incidono il loro primo album “From Genesis to Revelation”, distribuito anche con il nome di “In the beginning”, album grezzo che però contiene già, qui e là, i semi di quella che sarà la loro musica.

Nel 1970, infatti, esce “Trespass”, che fa loro scalare moltissime posizioni nel gradimento del pubblico Progressive, ma poche nelle classifiche di vendita, per lo meno in Inghilterra.

Occorre dire infatti che, mentre il Progressive stentava ad affermarsi nei Paesi di lingua anglosassone, nel resto d’Europa e soprattutto in Italia ebbe quasi subito un buon seguito.

“Trespass” è un album di crescita verso la maturazione e la consacrazione dei Genesis, comincia a prendere forma la drammaticità e teatralità della loro musica e delle loro liriche: brani come “Looking for someone”, “Stagnation” e, soprattutto, “The knife” costituiscono pietre miliari della storia del Progressive.

Sulla scia del loro primo successo, i King Crimson pubblicano, sempre nel 1970, “In the Wake of Poseidon” (recensione) che costituisce l’ideale continuazione di atmosfere e tematiche di “In the court of Crimson King”. Sorprendentemente non è la chitarra di Fripp lo strumento dominante in quest’album, ma il mellotron suonato dallo stesso Fripp dopo l’abbandono del gruppo da parte di Ian Mc Donald. In quest’album, oltre all’omonimo brano che introduce una partitura per batteria assolutamente innovativa, vi sono “The Devil’s triangle” e soprattutto “Cadence and Cascade”, uno dei brani più suggestivi di tutta la produzione crimsoniana e forse dell’intero movimento Progressive.

Durante l’incisione di “In the Wake of Poseidon” (Mc Donald e Giles avevano già lasciato il gruppo alla fine del 1969), anche Greg Lake abbandona la formazione e, assieme a Keith Emerson dei Nice e Carl Palmer proveniente dai Crazy World of Arthur Brown, forma il primo supergruppo della musica progressive: gli Emerson, Lake and Palmer o più semplicemente E.L.P..

Non si sa se sia un matrimonio d’amore o d’interesse l’unione di questi tre musicisti, fatto sta che si portano dietro l’apprezzamento dei fans dei vari gruppi dai quali provenivano. Amati dalla stampa e dal pubblico, passati in continuazione nelle radio di mezzo mondo, ampliano la platea degli ascoltatori del Progressive da poche centinaia di migliaia a decine di milioni. Nel 1970 esce il loro primo album chiamato semplicemente “Emerson, Lake & Palmer” che si apre con un brano di musica classica reinterpretato in chiave progressive, “The Barbarian” di Bela Bartok, e con una serie di brani dominati dalle tastiere di Keith Emerson , ma in cui trovano spazio, come in ogni supergruppo che si rispetti, anche l’enorme talento di Greg Lake e di Carl Palmer .

Orfani di Greg Lake, i King Crimson tornano in sala d’incisione e, alla fine del 1970, esce il terzo album, “Lizard”. Entrano a far parte del gruppo Gordon Haskell al basso ed alla voce, Mel Collins al sax ed al flauto e Andy McCullough alla batteria, ma alla realizzazione dell’album contribuiscono anche ospiti di nome, come il cantante Jon Anderson degli Yes, il pianista jazz Keith Tippett e Marc Charig, virtuoso di oboe e corno inglese. Con una formazione così eterogenea e complessa non poteva che uscire un album altrettanto eterogeneo e complesso. I brani sono lunghi, suddivisi in arie dove si alternano elementi di classica ad altri di jazz, il piano di Tippett fa da contraltare al mellotron ed agli altri strumenti elettronici e disegna delicate ed evanescenti armonie sul tappeto creato dal mellotron di Fripp. Anche i testi sono più complessi e rarefatti, epici come in “Ragnarok” dove si intreccia la battaglia tra il bene ed il male o grotteschi come in “Cirkus”. Il brano omonimo “Lizard” è una lunga suite di 25 minuti divisa in tre parti nettamente distinte per atmosfera e ritmica, mentre “Lady of the Dancing Water” costituisce un gioiellino etereo.

I Soft Machine, nel medesimo anno, incidono il loro terzo album, “Third”, che è considerato il punto di incontro tra il progressive-rock ed il jazz-rock, tanto da risultare di difficile ascolto sia per i fans del rock che per quelli del progressive.

Sempre nel 1970 viene pubblicato un ardito album che miscela tra loro hard-rock e musica medievale con l’apporto di strumentazione rigorosamente d’epoca. Il coraggioso progetto è portato avanti dai Gentle Giant (biografia e discografia) nel loro primo omonimo album.

Mentre gli Yes pubblicano “Time and a Word”, escono, sempre nel 1970, “If I could do It all over again I'd do it all over you” dei Caravan e “H to He, who am the only one” dei Van Der Graaf Generator.

Ma il 1970 è soprattutto l’anno della mucca, quella mucca che incredibilmente campeggia sulla copertina di Atom Heart Motherdei Pink Floyd, album indispensabile non solo per la comprensione dell’evoluzione della musica floydiana, ma anche e soprattutto per comprendere come possa essere fusa e forgiata in altre forme ogni tipo di composizione musicale.


L'inizio del declino

Il 1976 vede il ritorno dei Genesis, con “Trick of the Tail”, album che pare non risentire della partenza di Peter Gabriel: incredibilmente la voce di Phil Collins, dopo la titubante performance di “More fool Me” in “Selling England by the pound”, appare del tutto identica a quella di Gabriel!

Il sound appare sempre molto raffinato e complesso, le liriche di buon livello, anche se i giochi di parole tanto cari a Gabriel spariscono del tutto, ma brani come “Dance on a volcano” , “Entangled” , “Robbery, assault and battery” e soprattutto “Ripples” rimangono splendidi esempi di Progressive.

Nello stesso anno esce anche “Wind & Wuthering” nel quale, per la prima volta, i brani non sono composti coralmente, ma sono opera dei singoli membri del gruppo, segno evidente di uno scollamento che conduce, dopo l’incisione, all’abbandono anche di Steve Hackett che inizia una carriera solista piena di album classicheggianti nei quali abbandona quasi del tutto la chitarra elettrica per tornare a tempo pieno a quella acustica.

I Camel incidono “Moonmadness”, il suono diventa più largo ed arioso e viene concesso molto spazio all’improvvisazione dei solisti Latimer e Bardens. Pur non essendo uno dei migliori album del gruppo, contiene dei brani come “Air born” e “Song within a song” che diverranno dei capisaldi della loro musica.

I Van Der Graaf Generator escono addirittura con due album, “Still Life” e “World Record”. Il primo soprattutto è degno di nota per le atmosfere epiche, mentre il secondo risente dei dissidi interni sempre più insanabili tra Peter Hammill ed i restanti componenti che sfoceranno di lì a poco allo scioglimento del gruppo.

“Going for the one” segna il ritorno di Rick Wakeman tra le fila degli Yes. Il gruppo abbandona le larghe suite degli album precedenti per approdare a composizioni brevi e melodiche. Nel brano che dà il titolo all’album, Steve Howe introduce per la prima volta in un’esecuzione rock la pedal steel guitar. L’album contiene la maestosa “Parallels” che diviene la track con la quale, negli anni a venire, il gruppo apre ogni concerto.

I Gentle Giant pubblicano “Interview” che è considerata l’ultima opera progressive del gruppo che, da quel momento in avanti, “commercializzeranno” il loro sound per venire incontro alle esigenze dei discografici. “Interview” è un po’ la summa del lavoro di ricerca fino a lì realizzato dai Gentle Giant e l’album ne risente, apparendo spezzettato e compresso: meglio sarebbe stato un album doppio, ma il mercato non l’avrebbe accettato.

In Italia la PFM, ingaggiato Bernardo Lanzetti ex Area alla voce, continua la sua strada anglo-americana con “Chocolate Kings” nel quale risaltano le tastiere di Flavio Premoli in “From under” e la chitarra acustica di Franco Mussida in “Harlequin”. Ne segue un tour mondiale di buon successo al termine del quale Mauro Pagani decide di lasciare il gruppo per dedicarsi allo studio strumentale.

Il Banco pubblica addirittura tre album, “Come in un'ultima cena”, uscito per il mercato di lingua inglese sotto il nome di “As in a last supper”, e “Garofano Rosso”. “Come in un'ultima cena” è probabilmente l’ultimo album “classico” del Banco: nel corso degli anni ’80 la band svolterà infatti verso un sound più commerciale. Di rilievo nell’album, peraltro abbastanza anonimo, la sola track “Slogan”. “Garofano Rosso” è invece un album totalmente strumentale, colonna sonora dell’omonimo film diretto da Luigi Faccini, ed è singolare che un gruppo che ha una delle sue peculiarità nella voce di Francesco Di Giacomo, decida di incidere un album facendone volutamente a meno!

Il 1977 è un anno di calma piatta per la produzione dei gruppi progressive.

Da segnalare la pubblicazione di “I Robot” di The Alan Parsons Project, ispirato all’omonima saga fantascientifica di Isaac Asimov, che è probabilmente il miglior album di questa strana formazione.

I Genesis pubblicano il doppio live “Seconds out” che, con Phil Collins stabilmente alla voce e Chester Thompson alla batteria, contiene anche brani della produzione dei tempi di Gabriel. Se Collins è perfettamente a suo agio nei brani soft e meno eclettici, in brani del vecchio repertorio come “Supper’s ready”, “Firth of Fifth” o “The lamb lies down on Broadway” il confronto con la voce poliedrica di Gabriel appare spietato.

I Camel pubblicano “Rain dances” (recensione) che vede l’apporto di Richard Sinclair, co-fondatore dei Caravan, al basso, di Mel Collins ai fiati e di Brian Eno, ex Roxy Music, alle tastiere nel brano “Elke”. I Camel, in assoluta controtendenza, continuano a “progredire” e “Rain dances” è un album maturo, ben strutturato ed omogeneo: tra i brani, tutti di buon livello, spicca una splendida “Uneven song”.

I Van Der Graaf Generator sotto il nome accorciato di Van Der Graaf pubblicano “The quiet zone/The pleasure dome”, brani brevi che consentono a Peter Hammill, attorniato da nuovi musicisti e da altri di ritorno, di sperimentare nuove architetture sonore.

La PFM con “Jet Lag” torna a rivolgersi al mercato italiano con un sound meno Progressive e più jazzato che contraddistinguerà anche la successiva produzione del gruppo.

Il 1978 è da ricordare solo per un paio di album sopra la media, “Pyramid” di The Alan Parsons Project e “Breathless” dei soliti Camel e per la pubblicazione da parte dei Genesis di “And then there were three” che segna il definitivo addio al progressive per approdare ad un più remunerativo pop-rock con brani tutti di lunghezza adeguata per passare in radio. I successivi album seguiranno tutti questa linea ed apriranno la strada alla carriera solistica di grande successo di Phil Collins ed un po’ meno di successo di Mike Rutherford e Tony Banks.

Il 1979, anno di pubblicazione di “The wall” (recensione) dei Pink Floyd, è da ricordare per i fans del progressive per il solo “I can see your house from here” dei Camel , orfani di Peter Bardens, che contiene due perle, “Hymn to her”, ma soprattutto la misteriosa e immaginifica “Ice”.

Mike Oldfield continua monocorde a produrre album che non si discostano molto dai primi: “Incantation” del 1978 e “Platinum” del 1979 non tolgono nulla alla bravura del polistrumetista, ma non aggiungono molto alla limitata creatività del musicista di Reading.

Analoghe considerazioni si possono fare per Alan Parsons che produce album sempre di buon livello, ma esageratamente ripetitivi.


La fine del Rock Progressive e la nascita del Neo-Progressive

Con l’avvento degli anni ’80 la produzione progressive si riduce al lumicino. Molti gruppi si sono sciolti, altri sono passati a forme diverse di musica, fatto sta che di progressive in giro ce n’è sempre di meno.

Della vecchia scuola i Camel sono l’unico gruppo che mantiene ben salde le sue radici sacrificando quella ricerca esasperata che ha condotto allo stravolgimento del sound dei loro compagni di viaggio, una sorta di Progressive “statico”. Ciò non implica comunque una aridità e ripetitività, tanto è vero che propongono in continuazione album di altissimo livello e che è del 1999, vale a dire dopo oltre un quarto di secolo dagli anni d’oro del progressive, forse il loro capolavoro assoluto, “Rajaz”, preceduto e seguito da altri album di non minore impatto stilistico ed emotivo, grazie soprattutto all’impressionante simbiosi di Andy Latimer con la sua chitarra ed ai testi, mai banali, della sua compagna Susan Hoover.

In questi anni si assiste invero al fenomeno della resurrezione di molti nomi storici, ad esempio i King Crimson e gli Yes, ma il loro sound è troppo cambiato per continuare ad essere in sintonia con la sensibilità musicale dei fans del progressive: la lacerazione è avvenuta ed è irrimediabile.

Parrebbe tutto finito, ma negli anni ’80 e seguenti appaiono alla spicciolata gruppi giovani che piano piano conquistano fette sempre maggiori di consenso.

Si tratta degli IQ, degli Arena, dei Pallas, dei Porcupine Tree, degli Spock's Beard ( recensione di Octane), dei Glass Hammer ma soprattutto dei Pendragon ( recensione di Believe) e dei Marillion, che danno origine ad una vera e propria corrente musicale che prende il nome di neo-prog.

I Pendragon all’inizio sembrano i meno dotati di tutti. Si tratta di quattro musicisti semiprofessionisti, il chitarrista e cantante Nick Barrett, il bassista Peter Gee, il tastierista Clive Nolan e il batterista Fudge Smith, che si autofinanziano sin dal loro esordio nel 1983.

Le prime uscite appaiono di maniera, gli stessi brani vengono inclusi in più di un album, si pensi che “The King of the castle” e “Paintbox” si ritrovano in diversi arrangiamenti in ben tre album diversi, le difficoltà per trovare produttori e distributori minano la fiducia dei componenti nelle proprie possibilità. La svolta avviene nel 1986 quando decidono di fondare una loro etichetta musicale, la Toff Records, di autoprodursi ed autodistribuirsi anche attraverso canali non tradizionali come il Web.

Nel 1988 pubblicano “Kowtow”, poi bisogna aspettare cinque anni per assistere alla pubblicazione del successivo album da studio, “The window of life” del 1993, seguito nel 1994 da “World”. Il loro sound comincia a prendere una forma precisa e autonoma, ma la maturità viene raggiunta con la pubblicazione di “Not of this World” del 2001 e soprattutto con “Believe” del 2005.

Anche nel loro caso, come per i Camel, si può parlare di Progressive “statico”, ma è un bel sentire per i fans di quella parte del Prog che viene comunemente definita art-rock.

I Marillion sono invece probabilmente il solo gruppo contemporaneo che segua i canoni ortodossi del genere. Si formano nel 1979 a Aylesbury in Inghilterra con il nome l’originale di Silmarillion dal titolo di una novella di Tolkien. Nella formazione originale militano Steve Rothery alla chitarra, Doug Irvine al basso, Brian Jelliman alle tastiere e Mick Pointer alla batteria ai quali dopo brevissimo tempo si unisce il poliedrico cantante Fish, al secolo Derek Dick. Prima del loro singolo di debutto, Mark Kelly sostituisce Brian Jelliman alle tastiere e Pete Trewavas Doug Irvine al basso.

Il loro primo album risale al 1983 e reca il titolo di “Script for a Jester’s tear”, seguito nel 1984 da “Fugazi”. Il sound è particolarmente duro pur se la costruzione dei brani ricorda abbastanza da vicino il progressive. La prima svolta avviene nel 1985 con la pubblicazione di “Misplaced childhood”, album concept dal suono molto più ricercato e complesso. Il singolo che ne viene tratto, “Kayleigh”, scala le classifiche sia in Inghilterra che negli Stati Uniti e pone i Marillion all’attenzione di un vasto pubblico.

Dopo la pubblicazione di “Clutching at straws” nel 1987 e di “Thieving Magpie (La Gazza Ladra)” nel 1988, avviene la seconda svolta: Fish, con problemi di alcool e di droga e con un ego smisurato, abbandona il gruppo sostituito da Steve Hogarth. E qui vi sono due scuole di pensiero. C’è chi considera i Marillion finiti con l’uscita di Fish e chi la considera solo una fase nella storia del gruppo. Quello che è certo è che solo dopo l’abbandono di Fish inizia quella sperimentazione che caratterizza fortemente questa band.

E siamo ai giorni nostri.

Visto così, il Progressive appare un fenomeno molto limitato nel tempo ed in effetti è così, ma quei pochi anni sono stati densi di emozioni. Un fiorire di band in tutta Europa, dall’esistenza spesso durata il tempo di un album, ma che album, band che non si è avuto modo di trattare in modo adeguato in questa storia del Progressive, ma che è doveroso citare.

I gruppi della scuola di Canterbury ad esempio, come Hatfield & the North, i Gong, i Matching Mole, Henry Cow i cui componenti provengono o finiscono in molti gruppi di maggior spessore, i Colosseum, i Beggars Opera, gli Atomic Rooster, i Curved Air, i Renaissance, Greenslade, la scuola tedesca, chiamata in modo molto inappropriato e beffardamente “Kraut Rock”, improntata ad un elevato impiego di strumentazione elettronica, con gruppi come gli Amon Düül, i Popol Vuh, gli Ash Ra Tempel, i Tangerine Dream, gli olandesi Focus, i gruppi jazz fusion come gli Weather Report, che entrano ed escono dal progressive a loro piacimento, ma da questo ottengono influenze non di poco rilievo, ma anche e soprattutto quella nidiata di gruppi italiani come Le Orme, Il Rovescio Della Medaglia, gli Acqua Fragile, gli Osanna, Il Balletto di Bronzo, gli Area, i Latte e Miele, i Goblin, questi ultimi spesso ricordati come autori delle colonne sonore dei film di Dario Argento, ma che hanno pubblicato degli ottimi album progressive.

Molti anni sono passati dall’urlo lacerante di Greg Lake...

Blood rack, barbed wire,
polititians' funeral pyre,
innocents raped with napalm fire:
twenty first century schizoid man...

…abbiamo assistito all’ascesa ed al declino di decine di generi musicali, di fenomeni durati il tempo di una stagione, di mitici artisti tutti prematuramente dimenticati, ma in angoli nascosti, nel completo disinteresse di radio e televisioni, si può ancora udire qualche respiro…

Men of steel who endured the most,
the father, the son and the holy ghost,
the butterflies of war flying so high,
sick as a pig on American pie...

…e qualora non ci bastasse, rimangono i grandi, quelli per i quali ci viene ancora il desiderio del delicato rituale di estrarre un vinile dalla foderina, di appoggiarlo su un piatto e di sederci a riascoltare storie di cavalieri e di isole deserte, di re Cremisi e di carrozze di Hans, di scatole musicali e di immutevoli giganti gentili…

Starless

Pubblicato nel 2009

Greg Lake

Greg Lake

Ian Mc Donald

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Yes - 1969

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Volume 2 dei Soft Machine

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The least we can do is wave to each other - Van Der Graaf Generator

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Trespass - Genesis

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Emerson - Lake  &  Palmer

Emerson - Lake & Palmer

Emerson - Lake  &  Palmer - album

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Yes

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Steve Howe in concerto con la pedal steel guitar

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Premiata Forneria Marconi (PFM) - 1974

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Banco del Mutuo Soccorso - 1973

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Andy Latimer dei Camel

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Marillion con Fish - 1987

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Marillion con Steve Hogarth

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