MUSICA

The Who: Quadrophenia Tour 2013

Londra, O2 Arena - 15 giugno 2013

Durante la conferenza stampa di fine 2011, tenutasi a Londra per la presentazione di Quadrophenia Direcotr’s Cut, in netto anticipo sul quarantennale della nota Opera Rock, e per la quale a pochi fortunati era stato concesso l’onore di potervi prender parte, Pete Townshend disse che gli Who avevano realizzato solamente tre dischi buoni; Tommy, Who’s Next e Quadrophenia appunto, loro ultima pubblicazione degna di nota, definendola anche la migliore. Forse non tutti saranno d’accordo a riguardo di tale affermazione, soprattutto se andiamo ad indagare tra i fans, ma se a dirlo è proprio lui, mente e anima di una delle band più famose del pianeta, che hanno saputo creare e influenzare, allora è da tacere e da concordare.

Il 19 ottobre del 1973, veniva pubblicato questo doppio vinile che per diversi aspetti avrebbe lasciato il segno sino ad oggi senza sbiadire minimamente nella sua bellezza, causa il tempo che scorre inesorabile per tutti.

In quegli anni ancora tutto era possibile nel campo della musica, o meglio c’erano ancora tante porte da aprire. Gli artisti che negli anni ‘60 avevano iniziato a farsi notare, erano dei pionieri in una sterminata e incontaminata prateria dove sino a quel momento ben poco ancora si era creato e nella decade successiva, quando la loro maturità artistica e in certi casi anche anagrafica era giunta forse all’apice, alcuni di loro sono riusciti a fare qualcosa di decisamente stupendo e memorabile prima che i fatidici anni ‘80 li travolgessero e ne compromettessero irrimediabilmente il loro percorso annullandoli o relegandoli in una riserva dalla quale pochi sono riusciti a rimanerne fuori.

Quadrophenia è senza ombra di dubbio una pietra miliare, un faro da tenere sempre d’occhio per controllare la propria posizione, nonché un saggio amico da consultare.

Ma perché questo Long Playing (all’epoca i vinili si chiamavano così), più semplicemente LP, è tanto importante?

Le motivazioni sono molteplici. Si tratta di un disco generazionale senza tempo, che rappresenta un po’ tutti quanti, mentre da un punto vista prettamente musicale è stato uno spartiacque. Per quanto riguarda l’autore e i suoi compagni di viaggio, rappresenta invece la maturità artistica. E in questo momento, nel bene o nel male, per i quattro si tratterà di un periodo di svolta.

Come spesso accade tra i giovani, ci sono i movimenti di ribellione che non ci stanno a dover seguire le regole. I Mod, avevano già considerato gli Who come loro ambasciatori e portavoce tramite la loro musica, anche se la band stessa non si è mai riconosciuta in tale ruolo e Quadrophenia aveva come protagonista uno di questi giovani con tanto di Scooter e Parka. Il disco quindi è un ambasciatore di quanto a tutti bene o male capita nella vita quando ad una certa età si vuole andare contro il sistema, contro ciò che i propri genitori vorrebbero per il proprio figlio. E non sottovalutiamo che la musica ha il dono di comunicare in un linguaggio universale che ti permette di capire, anche se le parole dei testi non si riesce a comprenderle.

Gli Who, si trovano ora in un periodo di maturazione professionale. Sono sulla cresta dell’onda da svariati anni, il loro mestiere lo sanno fare bene e di cattiverie ne sanno a bizzeffe e sanno quello che voglio. Con questo disco hanno messo un ulteriore sigillo lungo il loro percorso che definitivamente li ha consacrati come band di culto, anche se i lavori successivi saranno non all’altezza perché oscurati da quelli precedenti o perché, come dice qualcuno, avevano esaurito la loro vena artistica. Oppure causa l’inadeguatezza, se così possiamo chiamarla, dei nuovi musicisti che, anche se ottimi, forse non avevano il feeling giusto con la musica degli Who per poterne creare di nuova.

Come tanti altri loro colleghi, ma come pochi se guardiamo la quantità effettiva degli artisti presenti sulla scena, gli Who erano un collettivo da fare invidia. Ogni uno di loro ha lasciato il segno, erano il tassello giusto in quel determinato mosaico e recitavano perfettamente la propria parte. Ogni uno di loro era parte essenziale e insostituibile.

Per quanto riguarda invece la mente creativa, Mr. Pete Townshend, si tratta del capolavoro, della dimostrazione che la maturità è giunta senza dubbio alcuno. Forse è azzardato da dire, ma di meglio era difficile da fare. Quadrophenia ha le basi dell’Opera Classica, della quale prende gli elementi essenziali e si struttura in ogni parte con orchestrazioni e composizioni rifinite nel dettaglio.

Nel 1968, ad un’intervista alla rivista Rolling Stone, Townshend aveva dichiarato la sua intenzione in quel momento di voler realizzare un’opera rock, senza nascondere che secondo lui qualcuno avrebbe creduto che stesse scherzando.

Alcune prove tecniche di trasmissione della stessa band si sarebbero messe in pratica già con altri lavori, mentre altri artisti e band avevano già pubblicato qualcosa che poteva lasciare intravedere delle prime Opere Rock in fase però embrionale. Quando Tommy , Opera Rockper eccellenza pubblicata nel 1969, vide la luce, allora tutto si era compiuto; la lunga saga delle opere rock, modello di lavoro dal quale in moltissimi avrebbero preso spunto, continua ancora oggi.

Tommy è l’Opera Rock . E’ stato un apripista, un battistrada e lascia un gusto forse un po’ acerbo se messo a confronto con il suo fratello minore. Ma la strada intrapresa era quella giusta e bisognava perfezionarla. Quadrophenia invece è il modello maturo e completo da seguire, al quale non manca nulla.

Ora quest’opera si ripresenta a quarant’anni suonati, senza dimostrarli e nella sua completa e intatta bellezza. E’ un disco che suona bene ancora oggi, è un disco attuale. Se venisse pubblicato oggidì, farebbe parlare comunque, nonostante musica e commercio abbiano hanno preso pieghe differenti. Gli Who sono ritornati sulle scene in quel lontano 1996, quando ad Hyde Park a Londra, hanno fatto la loro apparizione annunciando il loro ritorno; è cosa risaputa quindi che stanno in giro, ma la celebrazione di questo gioiello è davvero imperdibile.

A questo punto però bisogna fare i conti con tante cose prima di cantare vittoria. In primo luogo raffrontarsi con le regole della vita, se così possiamo dire, perché se una reunion ha sancito il ritorno della band sulle scene, sino ad oggi sono cambiate tante cose. Non solo Keith Moon è passato a miglior vita nel 1978, anche John Entwistle ha dovuto arrendersi ad un infarto nel 2002 alla vigilia del tour del Nord America. Poi ci sono i problemi alla voce di Daltrey e la fastidiosa acufene che tormenta Townshend da anni.

Rimane da capire per quale motivo sia svanita la tournee del 2009 per la celebrazione del quarantennale di Tommy . Lo stesso Townshend aveva espresso la volontà di celebrarlo perché quattro anni dopo sarebbe stato troppo vecchio per fare lo stesso per la sua seconda opera. Solamente Daltrey ha portato in giro “l’opera prima”, passando anche per l’Italia, e in ritardo di tre anni. Poco importa, la gente non mancherà di sicuro all’appello e anch’io ho voluto togliermi questo sfizio e poter godere dell’ascolto integrale in versione live di uno dei dischi più fichi della storia. Che sia un giudizio di parte il mio è vero, ma è così.

Gli Who dal vivo rendono molto bene, musicisti collaudati e competitivi hanno da sempre permesso ai due rimasti di portare in giro uno show degno di nota, che a quanto pare si fa pagare non poco. Dunque Londra, e gli Who giocano in casa. Non c’è posto migliore per vederli questa volta e le circostanze li aiutano. Peccato che questa volta, dopo un notevole tour americano tra novembre e febbraio, l’Europa non li veda troppo protagonisti più di tanto. Due date irlandesi come inizio della partita, una consistente serie di spettacoli nel Regno Unito con tre repliche nella capitale e solamente due date sulla terra ferma, a Parigi e Amsterdam. Peccato e strano, molto strano. Solamente in Germania di certo avrebbero piazzato quattro date.

Son curioso di vedere come sarà impostato lo spettacolo. La performance sarà sicuramente buona ma per celebrare un disco simile ci vuole ben altro che un semplice concerto. E, in effetti, sul palco prenderanno parte oltre che alla formazione classica di voce, chitarre, basso, batteria e tastiere (come si è abituati a vederli live), anche altri due tastieristi aggiuntivi e due fiatisti che letteralmente sosterranno i brani a cui prenderanno parte.

Le luci si spengono e la band sale sul palco nel buio assoluto, mentre il pubblico esplode e applaude. I due superstiti salgono per ultimi e il pubblico aumenta le ovazioni mentre le note di I am the sea danno inizio alle danze tanto che i musicisti prendono posto.

La sequenza dei brani ovviamente è regolare come da vinile e non potrebbe essere altrimenti perché non avrebbe senso.

I suoni saranno puliti per tutto lo spettacolo, il che renderà la serata davvero godibile; le chitarre talmente tanto cristalline che, sarà anche suggestione, ma addirittura si riesce a sentire il plettro colpire le corde. Si percepisce poca tensione e molta distensione e scioltezza.

The real me è un’esplosione di musica adrenalinica allo stato puro e sarà uno dei momenti più intensi della serata.

Nonostante gli spalti gremiti, la gente è composta, ma le prime file non si risparmiano e si ammassano sotto le transenne.

Sono in piena forma, non c’è che dire. Qualche sbavatura non mancherà durante le due ore e mezza di esibizione senza sosta alcuna davanti ad un pubblico vario, di tutte le età e proveniente da varie parti del vecchio continente.

Can you see the real me! Doctor Doctor… i fiati fanno la loro prima incursione ed è un brivido a sentirli squillare. Se in questo caso si fossero adoperati dei campionamenti, avrebbe voluto dire uccidere l’essenza di Quadrophenia .

Daltrey , come si sa, è da un bel po’ di tempo che ha problemi con la voce. Non è il solo della vecchia schiera di cantanti, che purtroppo soffre di un notevole calo. Qualcuno potrebbe dire che oramai sarebbe anche il caso di fermarsi; qualcun altro allora potrebbe dire che la sua è vera e propria passione ma il dibattito verrebbe chiuso da un laconico “è il suo lavoro e lo deve fare per forza”. Forte è il mio ricordo, come tanti altri presenti quella sera a Verona nel 2007, quando gli Who si presentarono in Italia dopo ben 35 anni di assenza. Sappiamo come andò a finire. Dopo il temporale che interruppe il concerto mentre suonavano Who are you dopo soli trenta minuti dall’inizio, la band si ripresentò dopo un’ora di sosta forzata. Behind blue eyes si dimostrò lo scoglio sul quale Daltrey dovette arenarsi in quanto la voce lo abbandonò e lui a sua volta abbandonò il palco mentre Pete lo rincorreva dietro le quinte per convincerlo a non andarsene. Dopo le scuse pubbliche di Pete ritornato sul palco che avvisava di dover probabilmente interrompere il concerto, la band si ripresentò una terza volta davanti agli irriducibili e irremovibili spettatori fradici. Nessuno escluso marcò visita al ritorno, e magico Pete con un quaderno con i testi, cantò i brani che il povero compagno non era in grado di eseguire. Alcune cronache raccolte on line di altri spettacoli della band raccontavano di un altro caso simile accaduto durante il loro tour americano. Fu davvero elettrizzante perché per quanto si assistette ad una disfatta, ci fu la possibilità di vivere un’esperienza unica. Tanto è vero che quella notte in albergo non chiusi occhio.

Ma l’esperienza insegna, rende forti e con qualche accorgimento e cattiveria si può far fronte ad alcuni imprevisti. E questo Roger lo ha già dimostrato nello scorso tour quando ha presentato Tommy per intero, con una band composta da alcuni membri presenti anche questa sera sul palco. Si sente che la sua voce oramai in certi momenti è roca ma si comporta bene.

Lo spettacolo non permette di prendere fiato e sugli schermi oltre alle immagini in tempo reale della band, scorrono filmati d’epoca dei quattro eroi in svariati momenti della loro carriera, passando per alcune sequenze di un giovane Townshend in studio di registrazione alle prese con un sintetizzatore con bobine; fu quello uno degli elementi chiave della svolta nella sua creatività.

Davvero bello e potente sotto tutti i punti di vista. Non manca nulla. Pete come suo fare rotea il braccio sulla Fender e Daltrey lancia il microfono in funambolici lanci e acrobazie. Ovviamente i fari ad occhio di bue sono solo per loro questa sera; in molte occasioni i loro ruoli si intrecceranno sul palco. Quando le parti vocali iniziavano a dare spazio all’assolo chitarristico, ecco che i due si avvicinano e continuano assieme fino alla fine del brano.

Due i momenti migliori in assoluto. Il primo durante l’esecuzione di 5.15 . Un bellissimo e godibile assolo in perfetto stile Rock-Blues, ha anticipato un assolo di basso eseguito da Entwistle nel suo ultimo periodo (l’estratto video probabilmente è del concerto alla Royal Albert Hall del 2000). Proiettato sugli schermi, il filmato del compianto musicista, per alcuni minuti ha regalato il brivido di poterlo sentire come se fosse proprio in quel momento stesso a suonare dal vivo. Sempre con il suo solito modo di tenere in mano lo strumento come se stesse reggendo un manico di scopa (anche se sappiamo bene cosa fosse capace di creare), è stato accompagnato dalla batteria suonata live da un compiaciuto e onorato Scott Devours , creando così un duetto davvero insolito.

Il secondo invece, a questo punto prevedibile, è avvenuto sulle note di Bell Boy , quando giunto il ritornello, ecco partire sempre sugli schermi la proiezione di un live, in cui Keith Moon da dietro i suoi tamburi per lo stesso brano eseguito all’epoca, recitava i versi di risposta al titolo del brano:

Bell Boy! I gotta get running now
Bell Boy! Keep my lip buttoned down
Bell Boy! Carry the bloody baggage out
Bell Boy! Always running at someone’s heel
You know how I feel, always running at someone’s heel.

Entrambi i momenti sono stati osservati di Pete e Roger con commossa attenzione, rivolgendo al termine un saluto ai due compagni.

Meritano davvero di essere presentati i musicisti saliti sul palco; oltre ai già più volte citati e noti Roger Daltrey alla voce e Pete Townshend alle chitarre e voce, c’erano:

***Simon Townshend , fratello minore di Pete (chitarre e voce). Da svariati anni segue il fratello all’interno della band e Daltrey nelle sue uscite soliste.
***Pino Palladino (basso), noto session man richiesto da svariati artisti. Ricopre il ruolo non facile di John Entwinstle dal 2002 subito dopo la sua scomparsa.
***Il già citato Scott Devours , è il quinto batterista degli Who . Dopo la scomparsa di Moon , su quel seggiolino sedettero Kenny Jones (Faces) , Simon Philips (Toto) , e Zak Starkey (Oasis ). Quest’ultimo era per forza di cose la persona ideale per quel ruolo in quanto figlio di Ringo Starr dei Beatles. Il padre e Keith Moon erano molto amici, e lo stesso Moon sembra esser stato un suo insegnate di batteria. Inutile quindi commentare la bravura di Palladino e Devours . Non sarebbero su quel palco adesso.
***Continuando, troviamo Frank Simes (tastiere e direzione musicale),
***i due tastieristi John Corey e Loren Gold ,
***e i due fiatisti Dylan Hart e Reggie Grisham per trombe e tromboni.

Ovviamente sarà Townshend , alla fine di Love, reign O’er me (brano di chiusura di Quadrophenia), a presentarli uno ad uno prima dei bis a formazione ridotta, mentre Daltrey concluderà dicendo “And dont’ forget the maestro, Mr. Pete Townshend.”

L’ultima scorribanda musicale dei nostri inizia con Who are You e prosegue con You better you bet, Pinball Wizard, Baba O’Riley, Won't Get Fooled Again e Tea and Theatre. Non c’è stato risparmio da parte dei musicisti e si capisce che sono stanchi. Townshend si leva la chitarra e mantenendola in verticale per la cinghia, la fa roteare mentre la passa al suo assistente. Salutano tutti senza snobbare nessuna zona dell’Arena.

Di più penso non potevano fare, di più son sicuro non potevamo chiedere.

Sarebbe stato davvero un peccato non esserci.

di Cristiano Pellizzaro - La Tana dei Gechi




Quadrophenia Tour



Quadrophenia Tour: Setlist

  • 1. I Am the Sea
  • 2. The Real Me
  • 3. Quadrophenia
  • 4. Cut My Hair
  • 5. The Punk and the Godfather
  • 6. I'm One
  • 7. The Dirty Jobs
  • 8. Helpless Dancer
  • 9. Is It in My Head?
  • 10. I've Had Enough
  • 11. 5.15
  • 12. Sea and Sand
  • 13. Drowned
  • 14. Bell Boy
  • 15. Doctor Jimmy
  • 16. The Rock
  • 17. Love, Reign o'er Me
  • (Encore)
  • 18. Who Are You
  • 19. Behind Blue Eyes
  • 20. Pinball Wizard
  • 21. Baba O'Riley
  • 22. Won't Get Fooled Again
  • 23. Tea and Theatre



The Who: Pete Townshend e Roger Daltrey

The Who: Pete Townshend e Roger Daltrey






The Who:  Roger Daltrey

The Who: Roger Daltrey






The Who:  Pete Townshend e Roger Daltrey

The Who: Pete Townshend e Roger Daltrey